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IL CALIGOLA DI CAMUS CRUDELE COME GLI DEI
(Article, www.larena.it, 29.10.2012, in english)
All'Olimpico di Vicenza lo spettacolo di Eimuntas Nekrosius Lo è fino al punto di suicidarsi facendosi uccidere
Ugo Brusaporco Vicenza Con un grande spettacolo, il Caligula di Albert Camus, ha chiuso tra gli applausi, interrotti solo dagli attori, stanchi dopo oltre tre ore di lavoro e venti minuti di acclamazioni, il 65° ciclo di spettacoli classici del teatro Olimpico di Vicenza. In scena il disperato destino dell'imperatore Gaio Giulio Cesare Germanico, nato ad Anzio giusto duemila anni fa, nel 12 d.C., e morto giovanissimo nel 41, dopo aver regnato per meno di cinque anni, ucciso dalle sue stesse guardie. Noto come Caligola dalle calzature che fin da bambino indossava (le militari «caliga») è stato uno degli imperatori meno conosciuti e dalla biografia più incerta, segnata dall'odio di Svetonio, storico carico di personale acredine verso di lui. Nell'affrontare un dramma su Caligola, descritto come monarca assoluto e crudele che si paragonava agli dei, Albert Camus (1913-1960, Premio Nobel 1957) si mostra colpito del suo errare nell'essenza umana estrema, nel suo percorrere, nel cammino del potere, il peso che ogni uomo porta nel rapporto con gli altri, un peso esaltato dal potere che l'uomo riveste. Non si deve dimenticare che Camus scrive e riscrive il Caligula tra il 1937 e il 1958, avendo ad esempi tiranni folli come Hitler, Franco, Mussolini. Ma forse ancor più ispiratore, in quanto meno stupidamente criminale, è Stalin.
Eimuntas Nekrosius nell'affrontare questo testo di grande riflessione sul nostro tempo (si pensi a affermazioni come «Il potere politico esiste solo per rubare» per capirne l'attualità), si affida alla genialità di un protagonista come Yevgeny Mironov che, pur più vecchio di quanto il ruolo richieda, riesce a renderne i giovanili ardori e i puerili crudeli giochi. Al suo fianco, come Caesonia, l'amante che segue fino alla morte il destino dell'imperatore, una intensa Maria Mironova. Due sono i motori che Camus individua nel suo Caligola: il rapporto incestuoso con la sorella Drusilla, adombrato in Svetonio e Tacito, e il suo desiderare di possedere la luna. Nekrosius percorre i due canali, Drusilla come sogno di un amore insostituibile, la luna come «follia» del potere che si ritiene assoluto. «Questo mondo così com'è fatto non è sopportabile. Ho bisogno della luna, o della felicità o dell'immortalità, di qualcosa che sia demente forse, ma che non sia di questo mondo», recita l'imperatore altero, convinto anche, in modo drammatico e colmo di propria infelicità, che «gli uomini muoiono e non sono felici». Deriso dai patrizi per questo, toglie loro l'unica convinzione certa, la religione: «Non c'è nessun cielo». Lui, Caligola è l'unico teatrale interprete degli dei del cielo: i patrizi lo devono adorare, incensarlo e devono morire per lui. Un'idea di grande modernità e drammatica attualità. Unita a questa la convinzione che c'è solo un modo per essere uguali agli dèi: «basta essere crudeli come loro». E la crudeltà del Caligola di Camus è quella di suicidarsi facendosi uccidere, regalando agli assassini il peso di una colpa che egli stesso non sa assumersi.